Perché un manuale dedicato esclusivamente all'atterraggio

 

E' del tutto lecito chiedersi che senso abbia scrivere un manuale dedicato unicamente all'atterraggio, ovvero se esista materia sufficiente da riempirne le pagine. Dopo tutto, ci sono già molti manuali di volo che trattano l'argomento e, fin dagli albori dell'istruzione al pilotaggio, agli allievi è stato insegnato come atterrare e come far fronte a tutte le variabili che possono manifestarsi in questa fase del volo, come ad esempio il vento al traverso o la brevità della pista. Purtroppo, nell'aviazione moderna ci sono ancora dei problemi legati all'atterraggio: è sufficiente dare una scorsa alle casistiche degli incidenti avvenuti nelle fasi finali del volo per rendersi conto di quanto questa materia meriti di una trattazione così specifica.

Una cosa sono le opinioni, un'altra i fatti. Ed i fatti dicono che, in un periodo di osservazione di cinque anni, in Canada il 38% degli incidenti aerei è avvenuto durante l'avvicinamento e l'atterraggio; il dato sale addirittura al 46% negli Stati Uniti. Nel periodo dal 1970 al 1979 in Sud Africa il 40% degli incidenti è avvenuto nelle stesse situazioni ed in Gran Bretagna il dato sfiora la metà del totale degli incidenti, che è dunque avvenuto in quella relativamente breve fase del volo che va dalla virata in finale allo spegnimento del motore al parcheggio. In Australia, considerando il periodo 1975-1979, il numero di incidenti in atterraggio ha costituito addirittura il 74% del totale degli incidenti.

Mentre tutti gli incidenti aeronautici vengono interpretati secondo regole dettate dall'ICAO, ogni nazione ha poi un modo diverso di presentare i risultati, che risultano quindi difficili da confrontare fra loro. Negli Stati Uniti, dove l'attività aeronautica è di per sé pari a quella globalmente effettuata in tutto il resto del mondo, i grandi numeri a disposizione rendono addirittura possibile discernere in che momento l'incidente sia avvenuto, fra le varie fasi dell'atterraggio (richiamata- contatto con il suolo, corsa di atterraggio, approccio VFR, ecc.) Queste statistiche sono molto interessanti, poiché, sebbene il problema differisca da nazione a nazione, qua e là si possono cogliere degli elementi in comune. Ad esempio, il contatto violento con il suolo costituisce la causa più comune di incidente, dal 5% del Canada al 13% dell'Australia ed al 14% della Gran Bretagna. Questo potrebbe voler dire che i piloti australiani e britannici talora non disdegnino di "far cadere" i propri mezzi sulle piste. Ma se, ad esempio, consideriamo i capottamenti a terra od in acqua, o la perdita di controllo al suolo, il tasso di incidenti passa dal 5% della Gran Bretagna al 10% degli Stati Uniti.

Pertanto sembra che ogni nazione dimostri una propria specialità, come la passione dei britannici di sfondare i carrelli (8% degli incidenti), il gran numero di arrivi "lunghi" ed uscite dal fondo pista registrati negli Stati Uniti (5%) ed il notevole numero di incidenti che in Australia avvengono per la collisione con oggetti durante l'avvicinamento (18%, la più comune causa di incidenti in atterraggio nella terra dei canguri).

Cercando di estrapolare dalle casistiche gli incidenti indotti dal comportamento errato del pilota, non si devono considerare i problemi meccanici o strutturali. Ad esempio, il mancato abbassamento del carrello è imputabile al pilota, mentre lo scoppio di una gomma (entro un certo limite) non lo è: questo tipo di incidente non entra pertanto a far parte della casistica.

Un'analisi accurata degli incidenti avvenuti negli Stati Uniti in fase di avvicinamento ed atterraggio rivela che nel periodo 1975-1979 vi sono stati 3.264 incidenti nelle fasi di richiamata e contatto con la pista (una media di 653 di tali incidenti ogni anno). Quindi il 19% di tutti gli incidenti aeronautici americani avviene in quei pochi secondi che precedono la fine di un volo peraltro del tutto normale. Una volta che il pilota ha eseguito l'avvicinamento senza urtare contro alcun ostacolo, condotto la richiamata e toccato la pista con l'aereo integro, si potrebbe pensare che il peggio sia passato: neanche per idea! Negli Stati Uniti, durante lo stesso periodo d'osservazione vi sono stati 2.735 incidenti durante la corsa di atterraggio, quindi quasi il 16% del totale di tutti gli incidenti.

Un'interessante caratteristica di entrambe le casistiche, americana e canadese, è il numero estremamente basso di incidenti occorsi durante avvicinamenti in procedura strumentale. Di fatto, in un periodo di cinque anni, vi sono stati in Canada solo 17 incidenti in avvicinamenti IFR e 206 negli Stati Uniti: tenendo conto del traffico aeronautico di questi paesi, non sono certo molti.

Tutto questo riporta alla domanda: "Perché una pubblicazione sull'atterraggio?". Se c'è bisogno di una giustificazione per fare qualcosa, nessuna è così pertinente quanto lo stato di necessità. E la necessità di disporre, per dirla in termini burocratici, "di ulteriori e migliori particolari" in materia di atterraggio non può che essere evidenziata dai risultati delle statistiche cui si è appena fatto cenno. Uno statistico potrebbe leggere questi risultati sotto moltissimi punti vista, ma l'elemento più importante che emerge è la netta sproporzione fra gli incidenti avvenuti in avvicinamenti IFR rispetto a quelli avvenuti in VFR. Il pilota che conduce un avvicinamento IFR deve possedere un'abilitazione al volo strumentale. Questa è una qualificazione onerosa da acquisire, che necessita di un atteggiamento professionale, anche quando chi la possiede è un pilota dilettante. Può essere allora che i piloti che eseguono la maggioranza degli avvicinamenti VFR abbiano una preparazione mediamente poco professionale? Alla luce dei fatti, questa è la mia opinione, condivisa anche da molti esperti dell'addestramento al pilotaggio.

Secondo me, anche se ultimamente lo standard dell'addestramento è migliorato, gli istruttori sono tuttora poco rigorosi nell'istruzione alle manovre di avvicinamento ed atterraggio, i risultati delle statistiche non fanno che confermare questa situazione. In particolare, da quando sono a disposizione aerei a carrello triciclo anteriore, dall'atterraggio semplice, questa manovra viene considerata alla stregua di altre, come la salita, la discesa o le virate in volo livellato. Se ci pensate, l'atto di impostare l'avvicinamento, tenendo conto delle variabili atmosferiche ed arrivare sulla pista al punto, alla velocità ed all'altezza corretta non è cosa da poco. E' quella sequenza di situazioni piuttosto ingarbugliate che viene sommariamente definito "atterraggio".

Dunque, l'atterraggio è una manovra che richiede grande abilità e capacità di giudizio da parte del pilota. Invece, parrebbe che nell'addestramento a questo complesso esercizio non venga spesso dato maggior risalto rispetto a, che dire, la regolazione dell'altimetro. Pensate che esageri? Allora si guardi ancora ai risultati delle statistiche e ci si chieda se non sarebbe stato meglio che i 7.990 incidenti in fase d'atterraggio occorsi negli Stati Uniti dal 1975 al 1979 si fossero ridotti a 1000, dunque con una media di 200 all'anno. Se pensate sia impossibile, considerate la casistica australiana, suddivisa secondo il tipo di volo e notate quanti pochi incidenti in avvicinamento ed atterraggio siano avvenuti nell'aviazione d'affari.

Ma i peggiori non sono gli allievi, ancora in addestramento sotto l'occhio vigile del proprio istruttore. I guai iniziano quando questi allievi ottengono il brevetto, acquistano un aeroplano e volano senza ulteriore guida o controllo, cosa che è di fatto un loro diritto, in quanto proprietari del mezzo. In Australia, sempre nello stesso periodo d'osservazione, proprio questa categoria di piloti è stata coinvolta in incidenti di atterraggio tanto spesso da contribuire ad un impressionante 34% di tutti gli incidenti di volo. Io penso che una simile situazione accada in tutti i paesi, poiché è un atteggiamento troppo usuale per questi piloti il patire come un'onta il sottoporsi ad una forma di addestramento continuo, o peggio ad un periodico volo di controllo. Molto comuni sono le seguenti argomentazioni: "Ho conseguito il brevetto, sono tanto bravo nel mio lavoro da potermi permettere di comperare un aereo e … insomma … l'addestramento è roba da allievi!". Il fatto che i piloti professionisti, civili e militari, passino molto del loro tempo ad essere controllati, aggiornati e criticati (una brutta parola a dirsi al giorno d'oggi) non è assolutamente considerato nella mentalità del pilota-proprietario che io ho in mente.

Sono sicuro che alcuni lettori riterranno queste considerazioni esageratamente crude. Mi si potrebbe anche accusare di pretendere uno standard professionale da piloti amatoriali, la cui unica ambizione è di ammirare il panorama dall'alto in una bella giornata di sole. Sarei io il primo a difendere il loro diritto a questo piccolo piacere, a patto che ciò non danneggi chi ripone nell'aviazione scopi più profondi. Perché, non ci sono dubbi, questi incidenti in atterraggio danneggiano tutto l'ambiente aeronautico. Inoltre fanno lievitare i costi delle assicurazioni sul volo e forniscono ai giornali materiale utile per notizie sensazionali, che incrementano le vendite fomentando l'opinione pubblica contraria la volo.

Le cose vanno sempre più o meno così. Il pilota Tal dei Tali pasticcia in avvicinamento, sbanda in atterraggio urtando una staccionata. Il carrello gli "scompare" da sotto l'aereo e termina quindi la manovra almeno un metro più basso di dove l'aveva iniziata. Il giorno seguente il giornale locale titolerà vistosamente: "AEREO SI SCHIANTA IN ATTERRAGGIO …" Potrebbe essere successo a Timbuctù, ma i quotidiani più importanti non mancheranno mai di darne notizia. Quando poi questi incidenti accadono nei cosiddetti "paesi sviluppati", non mancano mai alcuni amministratori locali, tanto più piccoli quanto più presuntuosi, che iniziano ad agitarsi, chiedendo la fine di "questa pericolosa attività chiamata volo privato". In genere si tratta di personaggi a caccia dei voti di chi osteggia l'aviazione. Gli incidenti in atterraggio, anche quelli dei piloti privati, colpiscono indirettamente tutta l'aviazione. Inoltre, ridurre gli incidenti vuol dire ridurre anche i costi delle assicurazioni.

Magari in un lontano futuro si realizzerà un processo di graduale presa di coscienza sull'aviazione leggera e generale. Nessuno di noi si deve illudere che i piloti privati godano della popolarità fra i loro concittadini. Può darsi che qualche individuo "particolarmente aperto" sia "parzialmente convinto" che i piloti non siano solo dei fanciulloni con troppi soldi e del buon tempo per spenderli. Ma per molta gente l'aviatore privato (e sono considerati tutti aviatori privati quelli che pilotano qualcosa di più piccolo di un ATR72) non induce che astio. Per questa gente non c'è nulla di strano se il Signor Tizio precipita da una montagna per fermarsi solo 1000 metri più in basso, oppure il Signor Caio se ne va per mare con la burrasca e costa un patrimonio andarlo a salvare. Ma se il pilota Pinco Pallino infila il suo gioiello volante in un fosso dell'aeroporto locale (senza danneggiare nessuno tranne se stesso), si leveranno certamente alte grida di dolore: "Tutti i piloti sono dei fannulloni" e "Sull'aeroporto sarebbe meglio costruire delle case".

Nel corso di quasi 40 anni ho volato con moltissimi piloti in occasione delle varie abilitazioni: ad istruttore, ai plurimotori ed altre ancora. Spesso anche gli esercizi più avanzati vengono eseguiti correttamente, ma non finirò mai di stupirmi sulla superficialità con cui vengono affrontati l'avvicinamento e l'atterraggio. Anche alcuni neo-professionisti sembrano incapaci di eseguire due avvicinamenti allo stesso modo, sullo stesso sentiero ed alla stessa velocità. Spesso è l'aereo che li porta giù e non (come dovrebbe essere) il contrario.

Per un pilota di linea che "porta giù" grandi aerei a reazione solo sulle piste più lunghe, ogni arrivo è un atterraggio "impegnativo", esattamente come gli atterraggi su campi corti, che costituiscono uno dei punti dell'addestramento dei piloti privati. Proprio come un aereo leggero che scende su una aviosuperficie deve venire attentamente controllato affinché giunga alla soglia della pista alla giusta altezza e velocità, così anche il pilota di linea deve rientrare nei suoi angusti parametri di velocità ed altezza. Per il pilota privato gli atterraggi "impegnativi" sono di solito casi rari; per il pilota di linea costituiscono la pratica di tutti i giorni. Se la scarsità degli incidenti in atterraggio che interessa gli aerei di linea è principalmente dovuta all'esperienza dei piloti, non per questo i piloti privati od i neo-professionisti possono essere scusati se arrivano troppo lungo e finiscono la corsa al di là della strada che c'è in fondo al campo. L'abilità può essere acquisita da chiunque abbia la volontà di sottostare ad un minimo di auto-disciplina.

Quando io ho imparato a volare, l'atterraggio veniva insegnato con un processo imitativo di esempio e pratica. L'istruttore "abbozzava" un atterraggio, dopodiché si ripetevano monotone le "cosiddette" lezioni in cui io inanellavo circuito dopo circuito, con pochissimi miglioramenti nell'accuratezza dell'avvicinamento o la precisione dell'atterraggio. Al di là delle solite frasi "Sei di nuovo troppo alto" o "Dobbiamo atterrare su questa pista, non sulla prossima" non c'era alcun tentativo di analizzare l'avvicinamento, spiegando come correggere gli errori o dove guardare durante l'atterraggio. La mia esperienza può considerarsi tipica per quei tempi: con questo tipo di istruzione "per imitazione" hanno imparato ad atterrare molti piloti di guerra (e molti altri ancora dopo). Ma, anche dopo aver ricevuto le nostre alette, gli incidenti continuavano ad essere numerosi, perché ben pochi di noi erano stati preparati ad essere veramente "consapevoli" delle loro azioni.

Quando si è sparsa la voce che stavo scrivendo questo lavoro, mi ha scritto una lettera Macarthur Job, l'editore della rivista australiana "Aircraft". "Mac" si è a lungo occupato di una pubblicazione governativa sulla sicurezza aeronautica, la "Aviation Safety Digest" e possiede una grande esperienza su una vasta serie di aeroplani. La sua opinione sull'atterraggio è la seguente:

"Per molti anni ho avuto la sensazione che non ci fosse un'istruzione adeguata sulla tecnica di far materialmente posare un aeroplano a terra, a differenza di quanto si fa per l'impostazione del circuito, il corretto angolo di avvicinamento, l'arrivare corti o lunghi, ecc. Molti piloti di primo pelo si accontentano di arrivare oltre la recinzione dell'aeroporto, tirare la barra, chiudere gli occhi (parlando metaforicamente) ed aspettare l'impatto. Penso di essermi comportato anch'io così per un po', ma quando iniziai la mia carriera professionale (su di un Dragon in servizio sanitario nell'interno dell'Australia), il mio capo-pilota, un vecchio marpione che aveva imparato a volare nei primi anni '30, mi prese per mano e mi insegnò dove e come guardare nella richiamata. Il risultato fu una trasformazione nelle mia capacità di atterrare. Ancor oggi, pur volando abbastanza di rado, sono tuttora in grado di "pennellare" l'atterraggio praticamente ogni volta, questo non perché io sia un pilota eccezionale, ma perché mi hanno insegnato bene!"

Come il mio amico, anch'io oggi non volo più quanto vorrei, ma nel mio lavoro di giornalista e consulente aeronautico, vengo a contatto con molti aeroplani diversi. Un giorno posso avere da valutare un addestratore leggero, un altro un bimotore pressurizzato. La settimana successiva può arrivare un turboelica od un jet d'affari, ne arrivano di tutte le forme e misure. Ebbene, io sono tanto pignolo nell'impostare una avvicinamento con un Cessna 152 quanto lo sono su di un Falcon 10 od un Bae 125.

Secondo le statistiche che mi sono state fornite dalle autorità aeronautiche del Canada, del Sud Africa, dell'Australia, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, in un periodo di cinque anni vi sono stati solo in queste nazioni ben 10.952 incidenti in avvicinamento ed atterraggio. Senza dubbio la Francia e la Germania non potrebbero che contribuire all'ulteriore aumento di questo dato. Perciò, la risposta alla prima domanda posta all'inizio di questo capitolo è che, avvenendo la metà degli incidenti totali nelle fasi finali del volo, una pubblicazione dedicata specificatamente a queste manovre è più che giustificata. Per quanto riguarda la seconda domanda, se la materia giustifichi un tal dispendio di carta ed inchiostro, sono contento che siano i lettori trarre le loro conclusioni.

La ricompensa per l'esecuzione di atterraggi migliori è costituita da un minor numero di incidenti. Ciò riconduce a tariffe assicurative più basse e migliore accettazione dell'aviazione generale da parte dell'opinione pubblica. Ma non mancano vantaggi più immediati, come l'evitare danni al vostro bell'aeroplanino e il non diventare Comandante di una sedia a rotelle!