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Atterraggi fuori campo sugli sci in zone remote

 

Potrà accadere a ben pochi lettori di trovarsi a pilotare sull'Artide o sull'Antartide, ma ciononostante quest'ultima parte del lavoro si basa su esperienze maturate in queste regioni. Le tecniche che sono state sviluppate per i Poli possono tornare utili anche altrove.

Se si atterra o si decolla da un campo innevato preparato, sono in genere disponibili in anticipo dati sul tipo di superficie e la sua lunghezza. Ma ci sono situazioni, alcune delle quali imposte dall'emergenza, in cui è necessario atterrare su un area che non è mai stata violata dagli sci di un aereo. La natura ha l'abitudine di tenere nascosti i suoi segreti ed alcuni di questi, fra i meno piacevoli, costituiscono una questione di vita o di morte per il pilota ed il suo passeggero.

Accingendosi ad atterrare su di un'area sconosciuta, ecco due seri rischi che possono nascondersi sotto uno strato di neve asciutta: crepacci, o anche semplici fossati, abbastanza larghi da distruggere l'aereo o "sastrugi", termine norvegese che definisce una superficie ondulata difficile da individuare in volo e che può risultare pericolosa durante l'atterraggio. Il "sastrugi" è generato dal vento, con lo stesso meccanismo di formazione delle onde del mare.

In linea di massima, le operazioni fuori campo sulla neve possono essere suddivise in:

1) Atterraggi in cui si dispone di un appoggio a terra per scegliere l'area e segnalarla all'uopo. Idealmente questa persona dovrebbe essere in grado di comunicare per radio al pilota le condizioni della superficie, la direzione del vento, ecc.

2) Atterraggi senza supporto a terra.

Atterrare con aiuto a terra

I vantaggi di un supporto a terra non necessitano di molte spiegazioni. Un compare là sotto può scegliere un campo idoneo, rilevare l'eventuale presenza di crepacci, fossati od altri pericoli, valutare le condizioni della superficie e determinare se sia livellata a sufficienza da ricevere un aereo. Può quindi segnalare il campo nei modi più opportuni. Se ci si fida della bontà di queste indicazioni, l'atterraggio può essere effettuato senza ispezione preliminare, ad eccezione di un sorvolo per valutare l'orientamento della pista e la direzione di atterraggio. Un fumogeno od una fiamma sono ideali per indicare il vento al suolo, specie se questo è leggero e variabile. L'avvicinamento e l'atterraggio vengono eseguiti come su un campo convenzionale.

Atterrare senza aiuto a terra

Gli atterraggi fuori-campo in aree remote e sconosciute hanno molto in comune con gli ammaraggi in acque intonse. Il pilota di idrovolante che debba posarsi su fiumi o laghi fuori mano si deve preoccupare delle condizioni della superficie, dell'eventuale presenza di rocce sommerse o detriti galleggianti, della direzione del vento, delle correnti e della disponibilità di spazio per il successivo decollo. Molte di queste considerazioni si estendono al pilota sulla neve. Prima di provare ad atterrare deve accertarsi che:

a) non vi siano crepacci (o fossati) nascosti;

b) la superficie sia idonea per l'atterraggio;

c) la direzione del "sastrugi", qualora presente;

d) se il vento al suolo (velocità e direzione) sia compatibile con l'atterraggio;

e) l'area prescelta sia libera da ostacoli ed abbastanza spaziosa per l'atterraggio ed il successivo decollo;

f) sia conosciuta la posizione, la natura e linclinazione di ogni pendio.

La ricognizione della superficie (Figura 61)

Non bisogna mai dare per scontato che un tappeto vergine di neve scintillante costituisca un'area di atterraggio ideale, perché quei fiocchi innocenti potrebbero celare un crepaccio in grado di inghiottire un Jumbo Jet. Parimenti, ciò che può apparire perfettamente liscio dal cielo, ad un controllo più ravvicinato potrebbe risultare coperto da una serie di onde ghiacciate ("sastrugi") di lunghezza ideale per indurre vibrazioni distruttive od altre forze di rottura degli sci. A volte il sastrugi è formato da neve soffice ed asciutta, nel qual caso potrebbe non costituire un problema, ma può anche essere formato da neve e ghiaccio duri come la pietra. Un atterraggio attraverso le onde, piuttosto che parallelo ad esse, può strappar via gli sci prima che il pilota possa dire "Ho sentito parlare di ghiaccio increspato, ma questo è ridicolo!" Ovviamente, se un forte vento soffia al traverso del sastrugi, un atterraggio parallelo alle onde non sarà possibile e si dovrà cercare un'altra zona di contatto. Come si può valutare la superficie e rilevare eventuali crepacci? La procedura necessita di abilità, coraggio ed un fine orecchio musicale.

L'aereo dovrà essere rallentato all'incirca alla velocità di soglia pista, estendendo parzialmente, non completamente, i flaps, in modo da avvicinarsi alla superficie con un assetto leggermente cabrato. Si prosegue con un avvicinamento piatto, che si interrompe appena al di sopra della superficie. Quindi, avendo impostato una potenza tale da mantenere la quota, l'aereo viene fatto scendere fin quando la parte posteriore degli sci (il tallone) "spazzola" la superficie della neve. Questo fornisce due importanti indicazioni:

1) La neve verrà spostata per evidenziare eventuali crepacci.

2) Si potrà valutare la natura del manto nevoso dal tipo del rumore generato dagli sci: un clangore corrisponde ad una superficie dura, mentre un fruscio ovattato corrisponde a neve soffice.

A meno che il clangore e le vibrazioni siano allarmanti, l'aereo può essere appoggiato un altro po' trasferendo più peso sugli sci del carrello principale. Dev'essere quindi "volato" lungo la superficie per alcune centinaia di metri in questa condizione ibrida, prima di dare motore e salire per rilevare l'eventuale comparsa di crepacci o fossati. Considerando di non aver causato lo spalancarsi di alcun baratro strisciando gli sci sulla neve, l'atterraggio dovrebbe risultare sicuro, sempre che sia effettuato nelle vicinanze delle tracce appena lasciate. Dopo essersi fermati indenni, evitare il rullaggio nelle aree non sondate in precedenza, perché ci potrà sempre essere un crepaccio in agguato fra la neve in attesa di un pilota troppo confidente e del suo uccellaccio di latta.

Interpretare il vento di superficie

In presenza di neve asciutta, la velocità e la direzione del vento possono essere determinate dal suo spostamento sulla superficie, ma la neve compatta non può fornire queste indicazioni. Di solito, la neve che si solleva denuncia un vento di almeno 25 Km/h. Le nuvole in movimento proiettano delle ombre, ma il vento si modifica con la quota e la sua direzione in superficie dovrebbe essere pertanto stimata come segue:

Emisfero Nord: 15-20° a sinistra della traccia dell'ombra sul terreno

Emisfero Sud: 15-20° a destra della traccia dell'ombra sul terreno

Se non vi sono riferimenti visuali, la velocità e la direzione del vento possono essere stimate esclusivamente volando a bassa quota e valutando lo scarroccio. In assenza di qualsiasi cosa che interrompa l'uniformità del manto nevoso, questo può risultare difficile, ma un riferimento può essere procurato facendo cadere un oggetto scuro dall'aereo (ad esempio la copertina di un libro od una latta vuota) e quindi volandoci incontro da almeno tre direzioni diverse (Figura 62). Pare che dopo aver volato per qualche tempo in regioni prive di riferimenti (deserti, mari o sulla neve), la valutazione dello scarroccio si sviluppi notevolmente e con questa la percezione della velocità e della direzione del vento, diventando quasi una seconda natura.

Atterraggi fuori campo in condizioni di scarso contrasto

Se una pista d'atterraggio non è stata preparata ed opportunamente segnalata da un collaboratore competente a terra, atterraggi fuori campo in condizioni di "white-out" sono estremamente pericolosi e non dovrebbero essere tentati. E' impossibile riconoscere sponde, crepacci aperti e profonde (vada per le lievi) ondulazioni. Il rischio è del tutto inaccettabile.

Atterrare sui pendii

Pendii dolci possono essere considerati alla stregua delle superfici pianeggianti, con la differenza che, in condizioni di vento leggero od assente, è si deve atterrare il salita e decollare in discesa.

Le aree montuose ed i ghiacciai possono presentare pendii ripidi e su questi è inevitabile atterrare in salita e decollare in discesa. In casi estremi il pendio può essere così ripido da precludere la possibilità di riattaccare una volta iniziato il finale, cosicché a quel punto si è comunque costretti ad atterrare.

Dovendo atterrare su un pendio ripido il pilota prudente dedicherà un po' di tempo a … confezionare il pacchetto! Bisogna ricercare:

1) Eventuali ostacoli lungo il sentiero di avvicinamento (asperità del terreno, ecc.).

2) L'eventuale presenza di vortici, causati da forti venti che soffiano attraverso le asperità del terreno.

3) Possibili limitazioni all'atterraggio od al decollo. Se il vento è moderato, la direzione d'atterraggio può imporre di averlo in coda, affidandosi alla pendenza della pista per rallentare e fermare l'aereo. Il successivo decollo avverrà in condizioni ottimali (in discesa e controvento). Questo è indubbiamente molto meglio del trovarsi a scivolare giù per il ghiaccio spinti dal vento in coda, con una velocità anemometrica troppo bassa per staccarsi ed al tempo stesso una velocità al suolo tale da non potersi più fermare. Ricordare che l'atterraggio deve essere pianificato in modo da essere sicuri che, quando necessario, si sarà in grado di decollare.

Anche dopo che l'atterraggio è stato eseguito con successo, rimangono alcuni problemi da affrontare. Il pericolo è che l'aereo si fermi con il muso che punta direttamente verso monte: in questa posizione è praticamente impossibile eseguire in seguito l'inversione per portarsi in linea di decollo. Per citare le parole degli esperti "Non bisogna rischiare di arenarsi come una zanzara schiacciata contro il muro". La tecnica da adottare per l'atterraggio in salita è la seguente (Figura 63):

1) Dopo avere eseguito una ricognizione approfondita della zona ed aver individuato la direzione del vento, volare livellati ed avvicinarsi all'area di atterraggio ad una quota leggermente inferiore al punto di contatto previsto. Con l'aereo in configurazione d'atterraggio, impostare una velocità d'avvicinamento leggermente superiore al solito, per assicurarsi che dopo il contatto sia possibile risalire fino in cima alla parte utile del pendio.

2) Applicare una dolce trazione sulla barra ed accompagnare l'aereo su per il pendio, mantenendosi a circa 15 metri dalla neve.

3) Dare motore quanto basta a far volare l'aereo parallelo al pendio.

4) Dopo aver evitato la convergenza della traiettoria di volo con il pendio, ridurre leggermente motore e lasciare che l'aereo si posi.

5) Dopo il contatto, mantenere l'aereo in movimento. Per nessun motivo si dovrà togliere motore finché non si è sicuri di poter raggiungere il punto più alto della zona prescelta. In una salita piuttosto ripida potrà essere necessario dare quasi tutto motore nello sforzo di evitare che l'aereo si fermi a mezza costa, in una posizione da cui sarà impossibile decollare.

6) Mentre si avvicina il culmine della salita, ridurre potenza, sterzare di poco più di 90° gradi e lasciar fermare l'aereo con il muso leggermente puntato verso valle, pronto per l'atterraggio.

In questa procedura si celano numerose trappole:

1) non riuscire a stabilizzare l'aereo in un approccio in salita che si avvicina dolcemente al pendio;

2) lasciare che l'aereo perda l'abbrivio a mezza costa, con il muso rivolto verso l'inaccessibile;

3) dopo aver fatto tutto correttamente, sterzare eccessivamente in cima al pendio ed accorgersi con orrore che l'aereo inizia a scivolare giù e niente al mondo lo potrà fermare!

I piloti esperti hanno un'innata fretta di chiudere la manetta dopo l'atterraggio, ma bisogna resistere a questa tentazione atterrando in salita sugli sci, altrimenti il risultato può consistere in molte ore di spalatura e sforzi spezza-schiena con funi e ganci (sempre posto che siano delle anime buone disponibili a dare una mano) ovvero la perdita di un bell'aeroplano, ibernato sul posto, a perenne ricordo di come le cose non devono essere fatte.

Il volo da diporto sugli sci può essere molto divertente, ma quando si tratta di lavorare in zone remote senza adeguato appoggio a terra, vi sono molte possibilità di disavventure le cui conseguenze possono essere molto serie. Chiaramente, qualsiasi pilota che consideri di lavorare volando sull'Artide, per fare un esempio, si deve far prima accompagnare da un esperto, poiché, quando si arriva ad un punto di non ritorno l'unica salvezza è avere a portata di mano l'altrui esperienza acquisita.

 

Siamo così arrivati al termine delle nostre lezioni sull'atterraggio. All'inizio si era detto che qualcuno avrebbe potuto obiettare quanto un lavoro di questo peso potesse essere dedicato completamente alle ultime fasi del volo. Ma la materia (e non abbiamo parlato degli idrovolanti, perché questi non atterrano ma ammarano) è davvero vasta, sotto ogni punto di vista. Senza dubbio un paio di lettori lamenterà la dimenticanza di questo o di quel particolare. Il guaio è non sapere dove ci si debba fermare!